Senza nessuna ragione apparente

Quando ti ho vista la prima volta era dicembre. Giacca lunga, assolutamente non ricordo di che colore, sciarpetta forse, pelle candida, bianca, porcellana, sigarette da rullare, fumo che esce avvolto e sfumato nella condensa di signor Inverno. Quando ti ho vista la prima volta ho capito che non era la prima volta. Io ti avevo già vista. Però devo aver pensato che Inverno, addosso, ti stava meglio.

Vorrei parlare della tua estetica. Soffermarmi sulle labbra rosse accese che avevi quel giorno lì. Chissà, forse il freddo. O forse il rossetto. Fatto sta che non dimenticherò mai come sorridevi. L’espressione di quando mi hai visto. Le labbra increspate in un’allegria di cui ti sorprendevi te stessa. Notai tutto, e galletto distolsi lo sguardo, per non farti capire che io sapevo. Solo sulle scale di un palazzo il cui interno avevo fino a quel momento ignorato per i casi della vita, mi accorsi degli tuoi occhi, loquaci fino al punto di rivelarmi quello che la tua mente non aveva ancora ben accettato e la bocca non immaginava nemmeno. Devo aver fatto un bel salto, perché mantenere la dignità mi costò molta fatica e l’appello a quasi tutte le mie abilità. Parecchie, per la verità. Impersonai il la figura del duro, come mio solito, alzai probabilmente un piede sul muro per stabilizzarmi e impostai la voce. Roca, controllata, enfatica e di pochissime parole. Mi sentivo in un film ambientato a Bologna 20 anni fa, anacronistico come lo eri te nella tua giacca lunga e il cappello. E le labbra rosse. Bisognerebbe vivere d’estetica, di apparenza, di luci e abbinamenti di colori. Bisognerebbe. Quel giorno poi si trasformò in notte prima che lo volessimo. Il mio sguardo ti accompagnò sottobraccio mentre scendevi le scale. La mia coda dell’occhio ti seguì furtiva domandandosi quando ti avrebbe rivista. Mi sentii in un’indefinita cittadina francese di fine milleottocento, con la mente composi poesie per i giorni a venire.

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